Di formazione eminentemente scientifica ma di interessi prevalentemente teorici, Hans Reichenbach fu tra i primi filosofi a intuire l’enorme portata della teoria della relatività e più in generale dei recenti sviluppi della fisica e della geometria, ancora prima che si formassero i circoli di Vienna e di Berlino. Analizzando la completa modalità di produzione e di crescita della scienza, Reichenbach ritiene che la costruzione del sapere scientifico si basi sul sincretismo di ragione ed esperienza ovvero sul metodo ipotetico deduttivo. Egli sottolinea come la scoperta non sia dovuta a un induttivismo grossolano, cioè affidato alla casualità delle scoperte che vengono svolte in un laboratorio, o in scenari di vita reale
Facoltà intuitive da associare alle scoperte scientifiche
Piuttosto, sono necessarie anche delle facoltà intuitive che il metodo non può insegnare né descrivere. Studiando la fisica relativistica Reichenbach annovera tra i suoi insegnanti le migliori menti della propria epoca. Come sosterrà anche Cassirer, non si può più sostenere l’idea che l’uomo sia in possesso dell’apparato categoriale rigido unico, al pari di quello fissato dalla Critica Della Ragion pura.
Se negli anni Venti il filosofo era ancora disposto ad accettare almeno in parte l’idea di un trascendentalismo come insieme di principi costitutivi dell’esperienza, negli anni ‘30 la sua posizione si fa decisamente più radicale.
La definizione di scienza si amplia
Definire cosa sia la scienza non è facile, soprattutto quando si tratta di impostare un metodo che vada a corroborare, e non a ostacolare, il metodo scientifico.
Costruire conoscenza è un atto che porta sempre con sé una responsabilità morale, e Reichenbach lo sa bene.
Proprio per questo è interessante leggerlo in quest’epoca, in cui la definizione di scienza si accompagna anche necessariamente a un’organizzazione della realtà e della politica.
Capire come strutturare i processi aiuta a risolvere i problemi alla radice, e in modo davvero risolutivo.