È difficile per me ricordare qualunque cosa dello studio del latino, essendo passato così tanto tempo. Ricordo la fatica della ricerca sul dizionario, fatica che immagino ora sarà stata sostituita da una comoda ricerca sul tablet.
Eppure ricordo quei giorni a sfogliare, a trovare il significato semanticamente più appropriato per la versione, il passaggio furtivo di compiti tra compagni, prima dell’inizio della lezione.
Ma soprattutto, ricordo quando ci fu insegnata la metrica quantitativa.
Né metrica accentuativa dell’italiano, né sistema tonale cinese la metrica quantitativa si basa in sostanza sulla lunghezza delle sillabe.
Una sillaba può essere considerata lunga per due ragioni: natura o posizione. Sono lunghe per natura quelle sillabe che hanno al proprio interno una vocale lunga, e lo sappiamo ad esempio con alcune terminazioni di verbi, nomi o aggettivi di cui abbiamo studiato la declinazione o la coniugazione. Sono lunghe, e tali rimangono anche quando collocate all’interno di una poesia.
Viceversa, le lunghe per posizione sono vocali brevi, che però per una serie di escamotage testuali si ritrovano ad essere allungate. Ad esempio, sono sillabe lunghe quelle di una vocale breve che precede due consonanti.
Quella rigidità sillabica che ha spinto molti dei nostri poeti – dai moderni in poi – a scardinare il sistema metrico e passare prima al verso sciolto, poi a quello libero, per il latino è ancora più rigida.
Eppure io conservo, vividissima, l’impressione che la poesia latina sia immensamente più dolce, scorrevole e facile alla lettura.
Paradossi del limite nella creazione artistica!