Non so quanti di voi, dopo aver visto “Cristo si è fermato a Eboli” del gigantesco Gianfranco Rosi si sono soffermati ad ascoltare il dibattito finale. Difficile avere parole compassionevoli per le ideologie degli amici torinesi del medico Levi, mentre la nostra mente è ancora attraversata dagli episodi del mondo contadino per cui abbiamo appena finito di stracciarci le vesti. Oppure, se anche non vogliamo interpretare questo splendido sceneggiato RAI con occhio socialmente critico e antiborghese, come forse vorrebbe il regista, in ogni caso non possiamo esimerci dalla compassione. E quindi, come le anziane signore al capezzale dei morti, anche noi vediamo questi episodi come frecce che ci colpiscono. Il dolore lo dobbiamo esprimere, contestualizzare, catartizzare sul finale. E quale migliore momento se non il dibattito tra il dottor Levi, umile e mai sentenzioso, e i suoi amici.
Il dibattito
Il dibattito è per noi il necessario epilogo, la razionalizzazione. Dobbiamo capire come sia possibile continuare a vivere, portare nella nostra vita una riflessione spendibile di ciò che abbiamo appena visto e per cui abbiamo empatizzato.
Rosi capisce bene che un tasso troppo elevato di neorealismo abbia bisogno di un contraltare emotivo. Comunque il pubblico a cui si rivolge è un pubblico che come classe sociale possiamo identificare come inevitabilmente borghese. Anche per questo l’apologia georgica che fa il dottor Levi alla sorella quando sono nel suo atelier di Torino contiene una giustificazione dei borghesi: è sufficiente “sentirsi” contadini per esserlo, non necessariamente dobbiamo indossare un habitus diverso dal nostro.
La differenza con le Georgiche
È evidente che i dibattiti sul mondo contadino si collocano in una cornice più ampia. I contadini sono da sempre esistiti come classe a sé, e in questo Rosi, e Levi prima di lui, centra un punto caldissimo. Nessun regime mai li potrà assuefare al potere, nessuno li potrà mai convincere. Però, come molti storiografi medievali ci hanno suggerito, spesso proprio nelle crudelissime campagne si perpetravano i fatti più cruenti, i delitti più insoluti e senza colpevole.
Vedremo più avanti come la visione di Rosi, quella degli storiografi e quella di un ipotetico Virgilio e di tutti i fautori degli antiqui ac boni mores siano radicalmente diverse.