Non so voi, ma a me ha fatto già ridere così.
Come immaginare due realtà più opposte una all’altra? Da un lato, la godereccia allure mediterranea, l’amore per il cibo, il chiasso.
Dall’altra un popolo cheto, minuto, che nei vestiti e negli animali esotici ci è stato consegnato a una memoria immobile – anche se di sicuro anche loro avranno una bella verve, solo che noi on la conosciamo.
Quindi, se i miei quattro lettori si chiedono perché sto parlando di Napoli e Cuzco accostandole, è il momento di fare un po’ di promozione alla mostra a Palazzo Carafa (San Biagio dei librai) che si terrà dal 14 novembre al 12 gennaio.
La mostra che unisce Cuzco e Napoli
La narrazione audiovideo si accompagna a immagini lanciate da un proiettore.
Il tema si snoda dal XVII al XVIII secolo, ai tempi del Viceré di Napoli e più precisamente del conte di Lemos.
Vengono mostrati dei documenti, tra cui lettere risalenti al 1610, che svelano dei dettagli inediti o poco conosciuti sulla storica battaglia di Cajamarca e sulla figura di Francisco Pizarro. E qui arriviamo al motivo della liaison: il viceré di Napoli era tra i pionieri nel mondo occidentale nell’ottenere informazioni sulle condizioni delle popolazioni indigene peruviane.
Tra i co-protagonisti abbiamo i gesuiti, il principe di Sansevero, i mercanti genovesi, e nel XX secolo Clara Miccinelli.
Retabli ayauchani
Leggendo la descrizione della mostra mi sono imbattuto nel termine “retabli ayacuchani” – un termine che designa dei manufatti creati nella città e regione di Ayacucho. Nello specifico, i retabli sono una sorta di teatrino squadrato, le cui ante si aprono a mostrare degli omini in atto cantante e recitativo.
Gli omini sono pupazzetti nello stile che qualsiasi occidentale che abbia viaggiato in Sudamerica riconosce immediatamente come “peruviano”.
Originariamente pare che questi teatrini fossero un’ispirazione al presepe utilizzata dai missionari spagnoli per facilitare l’opera di evangelizzazione.
Da un certo punto in poi, gli artigiani ayacuchani hanno appreso la tecnica e l’hanno fatta propria, iniziando a ritrarre sempre più scene laiche.
Oltre a questi interessanti manufatti, che a me ricordano dei teatrini, le notizie ufficiali di presentazione della mostra parlano di rappresentazioni della Pachamama in corda e lana.
Infine, ci sarà una postazione multimediale che permette di approfondire l’uso dei quipu, il sistema di scrittura usato nell’Impero del Tawantinsuyu.