Benché infatti l’Occidente debba prendersi le sue nettissime responsabilità per la condizione di minorità che ha contribuito a creare in moltissimi Paesi meno sviluppati – o sviluppati in modo diverso, o semplicemente meno bellicosi o meno militarmente organizzati, su alcuni casi c’è effettivamente della complessità da sciogliere.
È ad esempio il caso dei bronzi del Benin.
Il dibattito si concentra su questioni di proprietà culturale, etica della conservazione e rimpatrio degli oggetti artistici.
Origine della controversia sui bronzi del Benin
I Bronzi del Benin furono portati via dal Regno di Benin (nell’odierna Nigeria) da truppe britanniche nel 1897 durante una punitiva spedizione militare. Questi oggetti furono quindi dispersi in musei e collezioni private in tutto il mondo. Il modo in cui questi oggetti sono stati acquisiti, attraverso atti di violenza e sfruttamento, ha posto le basi per la controversia attuale.
Molti attivisti vedono la restituzione dei Bronzi del Benin come un passo fondamentale verso la giustizia storica. Sostengono che il rimpatrio di questi manufatti sarebbe un riconoscimento del danno causato dal colonialismo e un passo avanti nella cura delle ferite lasciate da quel periodo.
I Bronzi del Benin sono visti come pilastri dell’identità culturale e storica del popolo Edo e più in generale della Nigeria. Gli attivisti africani sostengono che avere questi oggetti nel loro paese di origine potrebbe rafforzare il senso di identità e appartenenza culturale delle future generazioni.
C’è anche un argomento economico, ovviamente: alcuni musei come il previsto Edo Museum of West African Art (EMOWAA) a Benin City guadagnerebbero moltissimo dalla restituzione (in alcuni casi già avvenuta) e avrebbero le competenze necessarie al proprio interno per la tutela e la conservazione di queste opere d’arte di rilevanza così alta.
La discussione sui Bronzi del Benin ha stimolato un più ampio dibattito sul rimpatrio di artefatti culturali in tutto il mondo. Alcuni musei e istituzioni culturali hanno iniziato a restituire volontariamente i Bronzi del Benin e altri oggetti culturali ai loro paesi d’origine. Il British Museum ancora non ha espresso posizioni circa una volontà di restituzione.
Ingiustizie passate, ma attenzione!
E qui arriviamo al primo incrinarsi di quella che finora sembra un’argomentazione inoppugnabile: ho una tale Deadria Farmer-Paellmann, che fa parte di Restitution Study Group, no-profit che si occupa nello specifico di riparazioni a seguito della schiavitù negli Stati Uniti, esprimere un’opinione del tutto contraria.
Per un semplice motivo: i bronzi sono stati realizzati interamente a seguito del profitto generato dalla schiavitù.
Quindi, attenzione a prendere posizioni affrettate. Non darò la mia opinione e non esprimerò altri pareri, visto che questo non è un campo in cui io abbia approfondito molto. Però vi lascio lo spunto per proseguire con eventuali ulteriori riflessioni.