Oggi vorrei parlare di una parola tedesca affascinante e intraducibile in altre lingue è “Fernweh”. Questo termine unisce “fern” (lontano) e “Weh” (dolore, desiderio), descrivendo una sensazione di nostalgia o desiderio di luoghi lontani, spesso sconosciuti. È l’opposto di “Heimweh” (nostalgia di casa) e rappresenta un forte desiderio di esplorare il mondo.
“Fernweh” è spesso associata allo Sturm und Drang, quando il viaggio e l’esplorazione erano visti come metodi per trovare se stessi e per evadere dalle restrizioni della vita quotidiana.
Un esempio poetico che può evocare il concetto di “Fernweh” è la poesia “Der Wanderer” di Georg Philipp Schmidt von Lübeck:
Es rauschen die Winde
So heimlich durch Blatt und Baum,
Im Abendgold zerrinnen
Die Nebel gleich einem Traum.
Sie flüstern und locken und rufen:
“O Wanderer, zieh’ weiter, zieh’!”
Mir klingt’s wie Weinen und Rufen
Tief aus der Ferne durch Nacht und Dämm’rung wie – Fernweh.
Che potrei tradurre così:
Il vento sussurra
Così segretamente tra foglia e ramo,
Nell’oro della sera svaniscono
Le nebbie come un sogno.
Sussurrano e invitano e chiamano:
“O viandante, vai avanti, vai!”
Mi suona come pianto e chiamata
Profonda dalla lontananza attraverso notte e crepuscolo come – Fernweh.
Ma cosa significa davvero Fernweh?
“Fernweh” non è solo un desiderio di viaggiare, ma un bisogno emotivo di esplorare, scoprire e connettersi con l’ignoto. È una chiamata verso l’avventura e l’ignoto, spesso accompagnata da un senso di libertà e rinnovamento personale.
In tempi come i nostri, in cui il viaggio è diventato molto più economicamente accessibile, e in cui la digitalizzazione media della popolazione consente di trovare tutto sommato semplice il processo di prenotazione di un viaggio, constatiamo come questa abitudine di prendere e partire sia cresciuta.
Lo dice la statistica, ma anche l’aneddotica: chi di noi non ha almeno un paio di conoscenze innamorate dei viaggi “grandi”, al limite dell’ossessione?