E’ inutile, quando ci si immerge nuovamente nei romanzi russi è difficile uscirne. Sto leggendo i fratelli Karamazov, dopo che in giovane età li ho abbandonati.
Perché non si leggono più romanzi russi?
Domanda sulla quale insegnanti e sociologi organizzerebbero dei proficui e interminabili dibattiti, ne sono sicuro. Scomodando la passione calante per la lettura, misurata con la capacità di scrittura delle prove statali scolastiche, uguali per tutti e quindi che consentono campionatura abbastanza affidabile. Lo diceva anche Sabatini, former president, dell’Accademia della Crusca, che si scrive peggio. Ma, come molti pensatori contemporanei sostengono, e mi sento di accodarmi, si sanno anche fare più cose. O meglio, i ragazzini che non sanno scrivere le sanno fare. Il “multitasking” è quasi un retaggio culturale epocale, un’abilità adattativa paragonabile alla posizione eretta, per le generazioni che oggi si immettono nel mondo del lavoro (e io questo aspetto ho avuto modo di verificarlo nei miei contatti con i nativi digitali che si affacciavano al mondo del lavoro).
Veniamo a Dostoevski
Questo sproloquio perché leggendo la manciata iniziale di pagine del romanzo tolsojano, quando descrive con dovizia di debolezze e reminescenze infantili i tre fratelli, Tolstoj non si sogna nemmeno che chi lo legge potrebbe trovare la narrazione eccessivamente lenta.
I tempi narrativi apparirebbero oggi sfacciatamente tentennanti, ostentatamente narcisisti. Le parentesi, me ne rendo conto, in un narratore contemporaneo sarebbero asfissianti, accademiche.
Ma non ho scritto questo post per giustificare il me stesso giovanile, che abbandonò la lettura credo intorno alla cinquantesima pagina. Anche perché l’edizione era vecchiotta e le parole scritte molto in piccolo. Scherzi a parte, vorrei dire che la pienezza che si coglie, dopo la fatica nella descrizione di questi personaggi, supera a piedi pari, senza ombra di dubbio, la vena estetizzante dell’iper-realismo contemporaneo. Che da DeSica, Rossellini, Zavattini in poi, nel cinema, e dal Naturalismo francese in letteratura, la fa da padrone.
Oggi Sorrentino, che vede e non dice
Il genio registico di Sorrentino (e intendo “genio” come “maniera”) sta nel contrario della descrizione dei fratelli Karamazov, come anche negli sproloqui interiori del delittuoso Raskolnikov. Il narratore che descrive i fratelli si riserva il beneficio del dubbio su alcuni fatti a loro relativi, che però si permette di narrare diffusamente.
Questi fatti sono “parlanti” come gli episodi estetici del cinema sorrentiniano, ma sono profondamente diversi. Vedremo come nel prossimo post.