Nel 2017 l’Italia, con una quota del 13,4%, è il quarto Paese in Europa per numero complessivo di presenze di turisti negli esercizi ricettivi (calcolate come numero di notti trascorse), mentre si colloca al terzo posto per presenze di turisti stranieri, (i cosiddetti “non residenti”) che hanno fatto registrare 210,7 milioni di presenze, contro i 305,9 milioni della Spagna e i 213,4 milioni del Regno Unito.
Così inizia il dossier curato da Istat come fonte per l’esame del disegno di legge C. 1698, che discute la Delega al Governo in materia di turismo.
Piccole e piccolissime imprese sono le prime per il turismo italiano
Ci sono alcune considerazioni interessanti da fare. Ad esempio, ne emerge che nel settore turistico una si tendono ad avere piccole e piccolissime imprese. Il dato 2016 per le imprese con meno di 10 addetti è ben del 97%.
Ciò non toglie la presenza di catene alberghiere e altri servizi turistici, tra cui quelli di trasporto, offerti da imprese multinazionali estere che operano in Italia. Prendendo il settore turistico in generale, il capitale di controllo estero è pari al 6,1% in termini di addetti, e vicino al 14% per valore aggiunto e fatturato.
La collaborative economy e i flussi sotterranei
Un’altra voce che ho notato nel dossier è quella relativa alla collaborative economy. L’interesse degli istituti statistici nazionali verso questa nuova forma di condivisione alberghiera non professionale è secondo me giusto e lecito: come sempre tracciare i flussi turistici è meglio che non tracciarli, e mi riferisco ovviamente non a un lavoro poliziesco, ma a un lavoro statistico che ci dia un’idea di quanti turisti sono davvero ospitati su suolo italiano.
Ma non solo, anche di quanti turisti effettivamente visitano le diverse città. L’ho sempre sostenuto, che un controllo capillare del turismo consente non solo di aumentarlo dove ce ne sia bisogno, ma anche di limitarlo laddove i flussi siano incontenibili e minino alla stabilità locale.