Il tempo scenico e lo spazio scenico sono stati definiti una volta per tutte da Aristotele nella Poetica.
Un giorno, un posto
Un giorno per l’azione scenica, e uno stesso luogo nel quale tutta l’opera deve svolgersi. I teatri antichi erano a cielo aperto, così come la maggior parte delle scene rappresentate si volgeva all’aperto, , come d’altronde si svolge perlopiù all’aperto l’aggregazione e la festa dei popoli mediterranei. Anche perché in caso di pioggia forte, il teatro non si faceva.
La scenografia
Per le scene d’interno c’era l’enchìmema, una roulotte che veniva fatta scorrere in scena. Per la discesa dall’alto dei personaggi, solitamente divini, ci si serviva invece della mecané, la “machina” latina da cui deriva la celebre espressione “deus ex machina”.
Il coro, questo sconosciuto
Il coro è uno strumento drammaturgico che oggi conosciamo poco, se non nel teatro musicale e nel musical, ma con un significato relativamente diverso. IL coro nella tragedia classica aveva un ruolo drammatico di primo piano, e spesso nelle parti non musicali si esprimeva per bocca del suo rappresentante, il corifeo. Dialogando con gli attori metteva in scena l’opera. Inizialmente un solo attore sulla scena, poi Eschilo ne aggiunse uno, e nell’Orestea stessa ne possiamo vedere tre, numero che rimase poi definitivo.
La prima tragedia
Concludo questo brevissimo excursus sulla tragedia greca ricordando che la sua nascita è controversa, ma viene fatta tradizionalemnte risalire all’autore Tespi, nel 534. C’è poi la versione aristotelica, secondo la quale la tragedia ha origine dal ditirambo. Una terza versione prevede la recitazione collettiva (corale, quindi) delle patèa, le tragiche avventure dell’eroe. A queste si vanno aggiungendo sovrastrutture, fino a raggiungere il risultato finale che possiamo ahimé solo leggere e studiare.