L’arte supera i confini delle guerre, l’arte è eterna… ma sarà poi vero?
Dopo mesi di polemiche per la presenza di figure russe e opere russe del mondo dello spettacolo, dopo un anno di conflitto ancora bisogna spiegare molte cose.
Ad esempio, che leggere Bulgakov o Puskin è sì un atto sovversivo, ma quanto lo è leggere Thomas Mann, o Brecht. Anzi, è sovversivo quanto lo è solo atto di leggere gli autori immortali.
Il prossimo 7 dicembre alla Scala avremo uno sfavillante Boris Godunov, nella versione originale di Musorgskij (1869).
Una scrittura vivace e considerata “troppo rivoluzionaria” dal teatro di San Pietroburgo, e quindi che in realtà sembrerebbe ineccepibilmente anti-autarchica.
E invece no, c’è da lamentarsi anche di questo.
Il console ucraino Andrii Kartysh ha infatti chiesto di non metterla in scena durante la guerra con la Russia per non fare propaganda a Putin.
Le dichiarazioni ufficiali
Dalla sovrintendenza del teatro negano, prendono le distanze.
Boris in fondo diventa zar dopo aver ucciso l’erede al trono e viene poi tormentato dai sensi di colpa, e il progetto in seno al teatro sta lì da tre anni. Non si può certo parlare di una scelta dell’ultim’ora, né di un innuendo alla Russia contemporanea e alle sue scelte politiche.
Il regista Kasper Holten ha voluto sottolineare gli elementi shakespeariani di Boris, la somiglianza con Riccardo III e per certi versi anche con Macbeth.
Il direttore musicale sarà Riccardo Chailly, che potremo ascoltare dal teatro ma anche in diretta su Rai 1, su Raiplay, in tv internazionali come Artè e la giapponese Nkh, nei cinema di tre continenti e anche in 35 luoghi di Milano e della città metropolitana, dal Carcere di San Vittore, alla palestra Heracles Gymnasium, all’aeroporto di Malpensa.