Ho scelto di continuare la mia riflessione sulla campagna inserendo, dopo le concezioni del regista Francesco Rosi e dell’intellettuale della Roma imperiale Virgilio, anche l’idea che la storiografia cerca di dare delle condizioni di vita di contadini e proprietari nell’uno e nell’altro periodo. Se possibile, il mio intento è sempre effettuare una sintesi critica delle due.
Perché la chiamo “la campagna degli storiografi”
Ho deciso di chiamarla così non senza una certa volontà di osare, ideologicamente parlando.
In realtà il mio ragionamento inizia dalle Georgiche di Virgilio e dalla loro contrapposizione con la visione di mondo contadino che emerge da “Cristo si è fermato a Eboli” di Gianfranco Rosi.
In generale abbiamo visto come la visione della campagna di Rosi e quella di Virgilio differiscano in particolar modo per la visione etica che Virgilio, uomo della propaganda, voleva veicolare. Inoltre la visione di Rosi è nettamente più romantica.
Ma chi ha ragione?
Com’è e com’era davvero il mondo contadino?
Credo che, come solitamente avviene nell’interpretazione dei fenomeni storici, le risposte a queste domande si trovino proprio chiedendo agli storici.
Ecco quindi che per capire come si sta davvero nella campagna di Virgilio e nella campagna della Eboli del Ventennio possiamo chiedere a chi studia storia del costume e storia sociale. Scopriamo allora che in nessuno dei due contesti la vita era rosea: fatica, sudore, sfruttamenti, prospettive di ascensore sociale inesistenti, superstizione, incesto e delittuosità.
Certo, la nostra analisi si basa in larghissima misura sulla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino e sugli standard di comodità e welfare ai quali siamo abituati oggi. Tutt’oggi la vita ad esempio nei luoghi montani, posti impervi e in campagna, non è assimilabile a quella cittadina.
Ma chi crea la narrazione alternativa della campagna?
Però, spesso sono i cittadini a creare la narrazione della campagna.
O meglio, sono le agenzie di marketing che pubblicizzano la campagna a chi in campagna non vi ha mai messo piede. E con agenzie di marketing intendo indistintamente la propaganda di regime quale quella dell’epoca di Virgilio, la visione romanticheggiante del forse troppo ideologico Rosi, e anche la concezione che certi spot pubblicitari contemporanei e certi reality show cercano di veicolare.
In conclusione
Forse può sembrare che io non voglia arrivare da nessuna parte e scarichi la responsabilità di un giudizio sulla campagna su chi non esprime giudizi di valore ma solo conoscenza scientifica, quindi gli storiografi. Invece in realtà vorrei proprio partire dalla conoscenza scientifica vorrei portare chi mi ha ascoltato in questo piccolo discorso alla mia conclusione: la campagna non è mai facile.
Ci aggiungo anche: sarebbe meglio che della campagna parlasse chi in campagna ci ha lavorato, e non solo vissuto temporaneamente guardando il lavoro da lontano, consapevole di avere una fresca alternativa per fuggirne in ogni momento.
E su questa nota un po’ rivoluzionaria ma in realtà mirante all’onestà, concludo.