Inutile a dirsi, la storia della residenza nobiliare nell’Italia della fine del settecento è cambiata notevolmente.Il potere delle famiglie che governano le signorie e i comuni va sempre più definendosi nella direzione di dominazioni più ad ampio raggio e democratiche. Ovviamente uso il termine di democrazia con larghissimo margine di ambiguità: le modificazioni che porteranno alle democrazie occidentali odierne sono ancora ben lontane dal costituire un paradigma che potremmo riconoscere. Ancora il voto popolare, la parità di opportunità, anche l’habeas corpus, sono nozioni che qualcuno ha già teorizzato, ma che sono ben lontane dal diventare popolari.
Non è questa una vena riflessiva che vuole esulare dalla concretezza delle osservazioni della realtà: molto spesso durante i miei studi architettonici mi sono ritrovato a pensare che la magnificenza di una colonna traiana, o di un Duomo di Milano, fossero in realtà necessariamente collegate a una forma di potere che viceversa riteniamo fuori dal nostro margine di accettabilità.
E quindi, meravigliosa la colonna traiana, ma avremmo voluto vivere nell’epoca imperiale romana tra primo e secondo secolo? Tra orde barbariche che incombono ai nostri confini, mezzi tecnologici e opportunità politiche che non vengono distribuiti secondo i meccanismi della perequazione…
Un pensiero che ho spesso fatto, riguardo alla perequazione, è che quando non ce l’hai, nemmeno la concepisci.
Quindi la condizione sociale disagevole in un’epoca diversa dalla nostra portava con sé necessariamente la accettazione di questa condizione. Forse può sembrare un pensiero estremo, credo che tacciarmi di dilettantismo sia quanto di più facile ci possa essere, in questo momento e dopo questa considerazione. Ma non siamo forse noi sottoposti anche in modo romantico alle suggestioni delle epoche precedenti? Insomma, io vorrei dire che le ribellioni popolari che la storia ci ha consegnato per il nostro studio, anche queste sono più una forma di rivendicazione materiale che non una vera e propria coscienza di classe.
Non metto certo in dubbio che il mugnaio di Carlo Ginzburg ne Il formaggio e i vermi possa sembrare un illuminista ante litteram, per certi versi. Però ecco, non avrebbe mai potuto e voluto immaginare una società davvero egualitaria e nella quale vigesse libertà di d’espressione.