Stanno iniziando in sordina, senza un ordine preciso.
A volte al Sud, a volte al Nord, non c’è distinzione, né prelazione.
I più grandi, certo, sono anche i più prudenti, e aspettano di più, ma i musei piccoli e le piccole mostre stanno già iniziando, timidamente, a riaprire i battenti.
Mentre parlavamo del restauro di mosaico di Alessandro Magno a Pompei, qualcosa si stava già muovendo nei consigli di questi musei, e ne vediamo oggi i primi risultati.
Intorno al 10 gennaio, la notizia che il Louvre ha perso nel 2020 oltre il 70% del fatturato.
Il 15 gennaio poi il gestore privato della Villa Reale di Monza ha restituito le chiavi della residenza, con 14 anni di anticipo rispetto alla data prevista dal contratto.
Lo stesso giorno, il primo segnale: le 120mila presenze al festival “Le vie dei Tesori”, un festival sparso tra diverse città siciliane.
Solo il giorno dopo, il Colosseo annuncia all’Ansa di essere pronto a riaprire. Un annuncio apparentemente insolito: perché non riapri? O perché non lo comunichi in via informale? Non serve una laurea in scienze della comunicazione per capire che è l’inizio di un colossale messaggio alle masse e alle istituzioni.
Poi, il Mart di Rovereto, che riapre con una mostra sul pittore Boldini.
Nel can can delle varie candidature a capitali della cultura, ci siamo forse persi il ministro Franceschini che auspica una riapertura dei musei in zona gialla.
E poi, inizia il movimento, inarrestabile.
Il 15 gennaio la riapertura del Boboli, e l’annuncio della imminente riapertura degli Uffizi.
Segue da vicino Ercolano. Il Bargello. Il Nazionale di Matera. Il Museo del Novecento di Firenze, con i disegni di Henry Moore.
Un piccolo segnale, certo, ma un segnale oltre che di speranza, anche di fortissima volontà di rimanere in sella e di non farsi trascinare, sul modello del Louvre, in una crisi nera.