L’ode alla gelosia di Catullo è un omaggio letterario, come in tutta la storia della letteratura e dell’arte si usa fare, alla poetessa greca Saffo.
“Mi sembra essere uguale ad un dio” dice Catullo, “anzi, se è lecito dirlo, mi pare superiore agli dèi”, mentre nella versione di Quasimodo di Saffo “A me pare uguale agli dèi / chi a te vicino così dolce / suono ascolta mentre tu parli / e ridi amorosamente”.
Dopo questa parte iniziale, in cui entrambi i due poeti descrivono lo scenario visto dall’esterno di una coppietta che parla e ride, che erroneamente viene definita gelosia, mentre secondo me si tratta più precisamente di invidia, abbiamo la seconda parte.
La descrizione dei sintomi di Eros
Mentre Catullo è spinto dal riso della donna amata alla perdizione (“[…]mentre ridi dolcemente, cosa questa che a me misero/ strappa tutte le facoltà”), per Saffo è il solo vederla a provocare lo sconforto di Amore.
Ma anche Catullo a un certo punto rettifica: “[…] infatti non appena/ o Lesbia, ti vedo, niente rimane a me/ neppur la voce in gola…”.
Saffo mantiene viceversa una certa ambiguità sulla cronologia della proprie sensazioni: “Subito a me/ il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda, e la voce / si perde sulla lingua inerte”.
E poi, l’elenco della sintomatologia:
Per Catullo “la lingua si intorpidisce, scorre sotto le membra/ una sottil fiamma, / le orecchie risuonano/ sugli occhi cala/ una doppia notte”.
Per Saffo si arriva invece direttamente alla morte:
“Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente”.
La conclusione rovinata dal tempo nel frammento di testo originario è riempita da Catullo con un’invettiva contro l’ozio, rivolta in apostrofe a se stesso:
“L’ozio, o Catullo, ti danneggia;
nell’ozio smanii e ti agiti troppo.
L’ozio ha già distrutto re
e città felici”.
Come a rimarcare il fatto che l’otium letterario porti a indulgere su argomenti amorosi… O forse a invitare il poeta a posare il calamaio e andare a dedicarsi a un sano negotium.