Giudice, nel riportare uno spaccato della società del primo Novecento che risulta estremamente attuale, ma anche vittima, di se stesso, delle sue paure e delle dinamiche familiari che lo hanno profondamente segnato. Tutto questo e molto, davvero molto di più possiamo capire di Franz Kafka dai suoi scritti e dalle sue epistole. Un uomo angosciato e profondamente alienato, che riversa nei suoi protagonisti quella visione del mondo che lo ha portato, dopo la sua morte, ad essere uno degli esponenti della letteratura più importanti del ventesimo secolo.
Ricorre in questi giorni l’anniversario della sua morte, conclusione di un’esistenza emblematica, in cui fino alla fine il suo desiderio era di passare in sordina, di essere dimenticato, pregando il suo amico più caro di distruggere tutti i suoi scritti inediti. Preghiera che fortunatamente per noi non è stata esaudita.
Le due opere che personalmente più mi hanno colpito, sono anche le due più famose: “Le metamorfosi” e “Il processo”. Ricordo distintamente quel senso di angoscia e profondo disorientamento che mi ha accompagnato durante la lettura. Kafka certame non è un autore da prendere in considerazione se si vuole leggere qualcosa per evadere dalla quotidianità e rigurgitarsi in un mondo parallelo, tuttavia è un’esperienza notevolmente fuori dal comune. Si viene rapiti dalla esasperata precisione in cui la realtà più assurda e violenta viene raccontata, situazioni del tutto paradossali e inquietanti vengono presentate come le più normali e ordinarie.
In particolare nel romanzo “Il processo”, il protagonista si ritrova totalmente schiacciato dai meccanismi della macchina della giustizia, accusato di una colpa ignota da uomini ignoti. La sua sicurezza iniziale si perde, come del resto lo abbandonano anche le persone che lo circondano, per poi accettare infine la sua pena, inesorabili e inevitabile. Finirà giustiziato per un’accusa sconosciuta. Ricordo benissimo che questo mi lasciò più che basito. Un’architettura del romanzo così diversa e disarmante, in cui gli elementi base vengono meno. Anche io come il protagonista vivevo i suoi stati d’animo, anche io non capivo e mi sentivo in un primo momento sicuro del lieto fine e poi completamente gettato nel baratro e disarmato.
Giudice di se stesso e dei suoi protagonisti
Kafka riserva così un destino infausto per i suoi protagonisti, costretti a lottare tutta la loro esistenza per cambiare la loro condizione, condannati ad espiare colpe di cui non sono coscienti, senza però avere una salificazione. Emblematica da questo punto di vista la fine de “Le metamorfosi” in cui il protagonista, nonostante venga assistito negli ultimi istanti di vita dalla vecchia domestica che prova una profonda pietà per lui, una volta morto lo getterà comunque nella spazzatura.