Parlare di Davide Livermore in quanto anticonformista e regista operistico significa parzialmente ignorare l’impatto notevole che ultimamente hanno le scenografie operistiche sull’opinione pubblica, forse meno sulla critica.
La concentrazione all’anticaglia
Questa tendenza non si sa se derivi dalla necessaria concentrazione che la platea e le gallerie dei teatri italiani devono fare per adeguare la propria percezione moderna all’anticaglia rappresentata. Utilizzo volutamente un termine che ha assunto una connotazione spregiativa. Almeno, vagamente.
Davide Livermore
Davide Livermore ama a quanto pare la retorica del “nemo propheta in patria”. E’ effettivamente sovrintendente e direttore artistico del Palau de les Arts Reina Sofia, a Valencia. Laddove in Italia dice sempre di essersi sentito in qualche modo rigettato.
Ma perché parlo di Davide Livermore? Come avrete immaginato, la stagione operistica alla Scala di Milano prosegue con un grande titolo: il Don Pasquale. Una riconosciuta eccellenza mondiale a dirigere, Riccardo Chailly. Costumi di Gianluca Falaschi.
Il cast è vario e professionalissimo, come sempre: Don Pasquale sarà Ambrogio Maestri, baritono di un certo spessore, pavese, formatosi alla scuola di Umberto Grilli. Verdiano, di grande presenza scenica anche visto il notevole phisique du role. Norina è Rosa Feola, un timbro che non riconosco ma che ha fatto delle masterclass di tutto rilievo, una di queste con Renata Scotto. Ernesto è René Barbera, una scelta che trovo un po’ discordante con il restante cast, forse per l’intensità scenica che tende a passare in secondo piano. Però, insomma, resta da vedere.
Malatesta è Mattia Olivieri, mentre Andrea Porta sarà il notaro.
L’allestimento
Di indiscrezioni non me ne sono giunte, e questo aumenta la curiosità per un regista che fa del modernismo a ogni costo una cifra stilistica. La sua Carmen cubana di un paio d’anni fa la ricordano ancora i melomani fedelissimi dell’allestimento d’antan, e quindi aspetto un don Pasquale, se non con l’Iphone, quantomeno non in farsetto.
Ma comunque, spazio all’opera.