Napoli è il nostro fiore all’occhiello. Un incontro tra civiltà diverse, perché di civiltà mi sento di parlare, quando si parla del confronto Savoia/Borbone, ad esempio. Sarebbe ingenuo pensare che in nome delle comunanza religiosa si possno appiattire tutte le differenze. Cercare di superare, ovviamente, magari riuscendoci, magri per merito del tramite di una intellighenzia che ignorava gli impulsi auto-conservativi del Gattopardo, e si volgeva invece a una reale necessità di modernizzazione.
Evitando il discorso che non è da farsi in questo momento, mi accingo all’ultima, quella che trovo più grandiosa, tra le metropolitane d’Europa. Non ho volutamente trattato di quelle di Hong Kong, o di Dubai, pure grandiose opere urbanistiche e per certi versi artistiche, ma che trovo in un certo senso estranea alla spinta alla (suddetta) modernizzazione alla quale hanno aderito molti Paesi Europei.
Napoli: la grande bellezza dell’arte nascosta
Penso che in generale la caratteristica che più mi affascina di Napoli, e delle città marcatamente borboniche, è l’apocalisse. Apo-calùpto, come i biblisti sanno, è il momento della rimozione del sudario che viene posato sulle cose. I cavalieri dell’Apocalisse non fanno che svelare il vero cosmo, quello in linea con i dettami divini, che arriva alla fine del mondo in seguito al Giudizio Universale. Questa accezione ha dato col tempo a “apocalisse” il valore sinonimico rispetto a “fine del mondo”.
Ma per non perdermi in arzigogoli etimologici, la metropolitana di Napoli ha in sé la grandezza dell’essere nascosta.
Ho già parlato del valore aggiunto del non-luogo, per l’apprezzamento dell’opera d’arte. In questo caso, l’incuria che regna in molti luoghi della città non può che contribuire. Diciamo che il fatto che sia stata inaugurata solo nel 1993, e quindi tardivamente rispetto alle altre metropolitane europee, contribuisce a renderla quasi precaria nel suo status di mezzo affidabile. O forse, ancora più affidabile perché rodata e collaudata…
Comunque: nata per volere dell’amminsitrazione comunale, l’operazione “Stazioni dell’arte” vede la regia di Achille Bonito Oliva e coinvolge, sulla linea 1: Garibaldi, Materdei, Università, Salvator Rosa, Municipio, Quattro giornate, Toledo, Vanvitelli, Dante, Rione Alto, Museo. Sulla linea 6: Augusto, Mergellina, Lala, Mostra.
Direi che Toledo, con il suo sviluppo verso l’alto, l’illusionismo così squisitamente barocco, si aggiundica il premio per la scenografia. In fondo il Barocco non è forse a Napoli e Roma che dà le sue prove migliori?