E’ difficile, come invece fanno i biologi, pensare alle nostre caratteristiche emotive come prettamente umane. Chi non sente nel guaito del proprio cagnolino un pianto, eguale se non in misura, almeno in interpretazione a un pianto umano?
I cigolii di Cartesio
Già siamo più umani rispetto a Cartesio, che vedeva nel pianto animale un mero “cigolio di ingranaggi”, e non una reale somiglianza con la sofferenza umana.
Gli scimpanzé
E ancora a far luce sul pianto umano ci penserà Darwin, padre della nota e studiata Teoria dell’evoluzione della specie. Darwin disse a sua volta, in “The Expression of Emotions in Man and Animals” (1872), che pianti e urla sono manifestazioni emotive tipicamente umane. Nessun’altra specie, sosteneva Darwin, piange e strepita come un neonato umano per ricevere attenzioni. Darwin faceva i conti con le ridotte scoperte del suo secolo in merito ai primati, scoperte che sono state poi portate alla luce da Jane Godall, che vedeva nel pianto degli scimpanzé delle caratteristiche esteriori molto simili a quelle degli umani.
L’arte del pianto
Nell’arte umana abbiamo la sguaiatezza dell’Urlo di Munch, abbiamo la concisione del clown triste dell’arte contemporanea e della cultura di massa. Le statue della Grecia classica difficilmente piangono, bisogna arrivare al Rinascimento Italiano per trovarne, per quanto anche l’arte gotica mostri alcuni esempi di lacrime stilizzate agli angoli dei volti. L’urlo invece in quasi tutti i casi, tranne forse quello di Munch, è rappresentato come bestiale e disumano.
Chissà cos’avrebbe detto Jane Godall.