Esiguo, no di certo. Ma in questi giorni il nostro patrimonio artistico appare un patrimonio fragile. L’incuria, il tempo, gli agenti atmosferici, tutto contribuisce al degrado. Immancabilmente un terremoto, come quello recente di Amatrice, sotterra secoli di bellezza intrapresa pietra dopo pietra. Mentre Renzo Piano vorrebbe rendere tutta l’Italia antisismica, mi chiedo come potrebbero arginare i fiumi in piena che in questi giorni di nubifragi si stanno riversando su Livorno, Roma, numerosa città toscane. Sembra che la stagione delle piogge arrivi aggressiva, e insieme ogni anno leggiamo di scempi, alluvioni, case distrutte. Quando il ferito o morto non arriva a rincarare.
Vedendo la stazione ferroviaria di Ostia Lido l’immaginario non può non ricollegare alla retorica d’allarme che ogni anno ci piove addosso (perdonate il gioco di parole) in questo preciso periodo stagionale. E chi osserva da più tempo la precarietà dei nostri patrimoni artistici non può non ricordare la Firenze del ’66.
In ginocchio per l’alluvione, Roma sconsiglia ai cittadini di uscire di casa, “specialmente nelle aree verdi”.
Quasi ogni anno si parla di chiusure temporanee di alcuni musei per infiltrazioni d’acqua in seguito a nubifragi, ricordo gli Uffizi di Firenze. L’umidità era per i dipinti a tempera, ad esempio, un acerrimo nemico. Per non parlare degli affreschi. L’ossidazione ha reso verdi i bianchi sfolgoranti di molte pitture gotiche e rinascimentali. Per citare gli effetti evidenti anche a chi non fosse studioso di storia dell’arte, e conservasse reminiscenze della scuola dell’obbligo.
Il restauro suscita però un certo interesse, sia governativo sia da parte dei privati. Ricordo il caso della regione Umbria che dà il via al grosso programma di restauro di edifici artistici danneggiati dal terremoto.
Si parlava di ben 38 chiese restaurate e riaperte entro fine anno. In un ‘altro programma di primi interventi per opere pubbliche danneggiate dal sisma rientrano, a Norcia le mura urbiche, il Teatro Civico e San Francesco, e a Spoleto, il complesso del chiostro di San Nicolò. Tutto quantificato a 11 milioni di euro.
Forse un destino meno precario, paradossalmente, spetta ai beni mobili, ai manufatti consegnatici dai secoli precedenti. Lo spostamento ne garantisce in qualche misura la conservazione ulteriore, e li rende meno patrimonio fragile.
Rimane la considerazione del fatto che forse non è così facile rendere tutta l’Italia anti-sismica. Ma poi, conviene?